<<Il giorno splende un istante ed è subito notte>> fa dire Beckett ad uno dei suoi personaggi in Aspettando Godot.
Gillo Dorfles, appena compiuti i centosette anni, sembra scardinare quest’affermazione trasformando il giorno in lunghi anni di lungimirante critica d’arte, attività pittorica e pensiero filosofico, riducendo la notte ad un puntino lungo la linea dell’orizzonte, guardato attraverso la lente di un miope che sembra a malapena distinguerlo. A venticinque anni, Gillo Dorfles si avvicina alla pittura attraverso composizioni surreali con una tecnica usata dai maestri del Quattrocento: la tempera grassa all’uovo. Fin da subito è chiara la sua matrice d’ispirazione che lo guiderà fino alla produzione più recente.
La sua ricerca, riduce la figuratività a semplici simboli pre-esistenti come la croce, il sole, forme archetipe che presiedono il campo del visibile e sono espressioni immediate di coscienza ed incoscienza. Guardando a Kandinskij e Klee, Dorfles afferra la natura primordiale delle cose, ritorna alla linea come elemento primario della forma e crea mondi possibili e fantastici su tela. La creazione di mondi immaginifici ed ideali non mira, però, all’astrattismo bensì a qualcosa che solo pochi anni dopo confluirà nel Movimento di Arte Concreta, di cui Gillo è pioniere insieme a Munari e Soldati nel 1948.
L’arte concreta – il nome può ingannare – è quella che rifiuta la mimesi, la riproduzione della natura, lo spunto dall’esterno ma che mira alla ricerca di forme pure, come fondamenta, basi di partenza e al tempo stesso di arrivo, del dipinto. Il segno muove il pennello, che si tratti di un’espressione grafica elementare consapevole o del tutto inconscia, e giunge a comporre una struttura in cui risiedono, nelle parole dell’artista stesso, <<i progenitori>> di ogni rappresentazione.
Una trama di ghirigori che intessono uno sfondo blu denso e corposo arrivando ad un livello di profondità altro da quello immediato e tangibile delle cose del mondo, di quelle che in termini platonici sono le entità terrene subordinate all’iperuranio. E sembra che proprio da lì, dall’iperuranio, Dorfles abbia chiamato all’appello le figure misteriose e fantastiche del suo periodo più recente, che dagli anni Settanta va ad oggi: il Fustigatore o il Vitriol, figura il cui acronimo chilometrico secondo gli alchimisti sta per “Visita l’interno della terra e, con successive purificazioni, troverai la pietra nascosta”.
Dorfles, come in un’esposizione omnia inaugurata qualche anno fa a Roma, è dentro il tempo; sperimentatore e innovatore (che ha introdotto negli anni Sessanta il termine kitsch in Italia), ha tratto e trae la materia dall’inconscio, la adegua al contingente e la spinge lì dov’è la sorgente di tutto, la pietra nascosta, l’essenza madre.
A cura di Cecilia Angeli