Il 21 febbraio Nina Simone avrebbe compiuto ottantaquattro anni. Il Teatro Elfo Puccini ha deciso di festeggiare il compleanno della cantante con lo spettacolo Nina (Montreux 1976), scritto e diretto da Nicola Russo e con Sara Borsarelli.
Dalla biografia di Alan Light What happened, miss Simone? (Il Saggiatore) all’omonimo documentario diretto da Liz Garbus e prodotto da Netflix, fino al film del 2016 Nina con Zoe Saldana, Nina Simone è stata negli ultimi anni al centro di una vera e propria riscoperta e rivalutazione. Merito anche della sua biografia, così travagliata e piena di punti oscuri: dall’infanzia difficile nella Carolina del Sud alle prime lezioni di piano, le ambizioni da pianista classica e i concerti nelle sale jazz, fino a diventare negli anni Sessanta una delle voci più influenti del Civil Rights Movement, per poi scomparire dal jet-set e riapparire solo molti anni dopo, verso la fine degli anni Ottanta, completamente trasformata.
Una vita travagliata ma lontana dai riflettori: quella di Nina Simone è stata una sofferenza intima e segreta, la tristezza dei blues più rochi e sbiascicati affidata alla voce e ai tasti di una musicista che ha pochi pari nella storia del suo genere. Lo spettacolo di Nicola Russo si propone di dar voce ai pensieri e all’anima della cantante durante il concerto a Montreux Jazz Festival nel 1976. È un momento significativo per Nina Simone: è appena tornata dall’Africa e la sua salute psichica è provata da frequenti crolli emotivi. Nonostante questo, il concerto a Montreux è ricordato come uno dei più incredibili della sua carriera: un concerto fatto di pause, di interruzioni, di confronti e commenti continui col pubblico. Siparietti di pochi minuti, fatti di parole o silenzi, in cui, di fianco all’immagine dell’artista afroamericana un tempo affermata e ora decaduta, si fa spazio la persona di Nina Simone e la sua storia, come canta nel brano Stars.
Ne è nato quindi uno spettacolo fatto di piccoli gesti, di parole ora sussurrate ora cantate, ora rivolte al pubblico e ora a sé stessa, accompagnate dai video in stop-motion di Lorenzo Lupano. Ma è la fisicità della Borsarelli a commuovere, a tenere insieme tutti i pezzetti della storia e a farci entrare nel cuore di Nina, per osservarne il tremolio grave e delicato. Il risultato è uno spettacolo che vuole mostrare più che dimostrare, in cui la parola deve fare i conti con i suoi estremi – il canto e il silenzio – fino a riempire di calore lo spazio tra Nina e il suo pubblico, un calore che sa di Africa e tamburi, lo stesso calore che Nina ha cercato per tutta la vita e che ritrovava, forse, nell’istante di silenzio che precedeva l’applauso. Lo stesso calore, che cerca ognuno di noi.
A cura di Nicolò Valandro